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Domenica 26 Marzo

 

Omelia della 5^ Domenica di Quaresima a. A - scritta da padre Vincenzo

 

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 11, 1-45)

In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

 

 

C: Parola del Signore.

A: Lode a Te o Cristo.

 

 

Le Domeniche di Quaresima si concludono con la 5^ Teofania del Signore, Cristo Gesù che fa risorgere Lazzaro ed è vita nuova di chi crede. Le letture (Ez 7,12-14; Sal 129/130; Ef Rm 8,8-11; Gv 11,1-45) manifestano il motivo della risurrezione a 360°: da quella fisica che va oltre la morte a quella spirituale che supera il peccato.                                         

 

Il miracolo della risurrezione di Lazzaro è infatti un “segno”, la prova e la garanzia di un’altra risurrezione operata da Gesù, quella della nostra anima, che passa dalla morte del peccato alla vita della grazia.

 

La risurrezione, compiuta dal Figlio di Dio in comunione col Padre, è Vita, è Misericordia senza limiti, che si estende a tutta l’umanità posta nelle condizioni di passare dalla morte alla vita mediante i Sacramenti:

 

  1. Il Battesimo che ci ha tolto dalle tenebre del peccato originale, trasferendoci alla luce dei figli di Dio;
  2. L’Eucaristia “pane di vita eterna” in cui Gesù si è donato e continua a donarsi in ogni Celebrazione;
  3. La Riconciliazione con cui Gesù ci risolleva con il suo perdono ogni volta che cadiamo nel peccato.

  

Anche a noi, come a Lazzaro, Gesù oggi ripete il grido: Vieni fuori dalla tua tomba, vieni fuori dalla tua indifferenza e pigrizia spirituale, vieni fuori dal tuo egoismo e disordine interiore, dalla tua tristezza e insoddisfazione. Ci chiama insistentemente ad uscire dal buio della prigione, in cui ci siamo rinchiusi, accontentandoci di una vita falsa, egoista, mediocre.  Ci invita alla vera libertà, a lasciarci afferrare dalla misericordia divina, a lasciarci liberare dalle tante “bende” che ci imprigionano:

 

  • le bende dell’orgoglio. Perché l’orgoglio ci fa schiavi, schiavi di noi stessi, del giudizio altrui, di tanti idoli e condizionamenti
  • le bende dell’eccessiva operosità. Quella di quanti, come Marta «si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore” ovvero il sedersi ai piedi di Gesù». È motivo di grazia il “fermarsi” un po', durante la giornata, per dialogare con Dio; cercare di contrastare, come si può, il ritmo frenetico della società, per rivendicare uno spazio di libertà
  • le bende dell’«impietrimento» mentale e spirituale. Di quelli che «perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto diverse maschere, incapaci di «piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono!»
  • le bende delle chiacchiere e dei pettegolezzi. Perché essi si impadroniscono della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana). Persone vigliacche che, non avendo il coraggio di parlare direttamente, sparlano dietro le spalle... Guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!» (Papa Francesco)
  • le bende dell’indifferenza verso gli altri.  «Quando ognuno pensa solo a se stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo».
  • le bende dall’accumulare. Quando si cerca di colmare il vuoto esistenziale accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro. Ma questa è una sicurezza effimera; quella vera ce la dona Dio, purificando il nostro cuore, rendendolo capace di stupore di fronte alle meraviglie della Natura e della vita
  • le bende del profitto e degli esibizionismi. Quando si trasforma il servizio in potere e il  potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. Sono coloro che cercano insaziabilmente di moltiplicare cariche e prestigio e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e screditare gli altri.

 

Il percorso quaresimale ci aiuti a liberarci dalle bende dei nostri peccati e contraddizioni, che ci tengono prigionieri come in tomba di morte. Prendiamo sul serio il grido di Gesù, rivolto a ciascuno di noi: "Vieni fuori!" Vieni fuori dalla tua tomba, dalle tue piccole sicurezze; vieni fuori dai tuoi pregiudizi, dai tuoi schemi, dai tuoi egoismi. Il SEGNO di oggi, portato all’altare, la candela con la luce, è proprio l’invito ad uscire dalle tenebre, dalla schiavitù, ricorrendo all’efficacia della Parola cui nulla può resistere.                                           

                                                                                                                                                                                                       

 

 

 

 

 

 


 

 

Domenica 19 Marzo

 

Omelia della 4^ Domenica di Quaresima a. A - scritta da padre Vincenzo

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Gv 9, 1-41)
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». 
 
C: Parola del Signore.

A: Lode a Te o Cristo.

 

 

Oggi, nella 4^ Domenica di Quaresima, c’è la 4^ Teofania in cui il Signore ridona la vista ad un cieco nato. Le letture (I Sam 16,1b.4.6-7.10-13; Sal 22/23; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41) rivelano il motivo conduttore della  Luce.

 

Davide, il più piccolo e poco stimato dei figli di Iesse, viene scelto dal Signore e riceve l’unzione a re d’Israele; anche noi, col battesimo, veniamo scelti da Dio e rivestiti della dignità regale (1 lettura). Il battesimo è una vera illuminazione perché ci colloca nell’ambito della luce, come il cieco guarito, di cui ci parla il Vangelo. L’episodio miracoloso, narrato da Giovanni, riprende il tema della luce dichiarata da Gesù nel capitolo precedente: “Io sono luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita” oltre ad esserci una ripresa della polemica ostile dei giudei.

 

“Dal pozzo di Sicar alla piscina di Siloe” potrebbe essere il titolo dell’episodio odierno dove c’è sempre una guarigione; qui il cieco guarito risulta come una conferma che Cristo è davvero la luce: dona agli occhi del corpo la capacità di vedere le cose materiali e allo spirito di vedere con la luce della fede. 

 

Ma vediamo la dinamica dell’episodio in 4 momenti:

 

PRIMO MOMENTO: Gesù, passando, vede un uomo cieco dalla nascita. Il protagonista è un mendicante, un povero che non ha nulla e non può dare niente a nessuno. Ma Gesù si ferma proprio per lui, per il suo limite e la sua sofferenza; il suo sguardo si posa sugli ultimi, sugli esclusi ed emarginati, perché è sanante e vede oltre…

 

L'amore vede sempre oltre. Infatti, guardando Levi, Egli non vede un ladro ma un uomo bisognoso di fiducia; a Cafarnao, nella casa di Giàiro, mentre tutti vedono una bambina morta, Gesù  vede una bambina addormentata; nell'adultera tutti vedono una peccatrice da mettere a morte, Gesù una donna bisognosa di libertà... È lo sguardo di Dio che vede oltre…  Anche noi siamo visti così: quando ci guardiamo dentro e vi troviamo solo buio, tristezza, sconforto. Dio ci sta guardando come figli amati alla follia!  Se imparassimo a guardarci con gli occhi di Dio, impareremmo anche ad accettarci, ad amarci e a stimarci un po' di più, trasformando così la nostra vita.

 

 

SECONDO MOMENTO: Gesù sputa per terra, fa del fango e unge gli occhi del cieco. Il gesto ci riporta alla prima creazione, quella dell’uomo plasmato dalla polvere/fango del suolo (cfr. Gn 1,27; 2,7). Anche qui c’è una creazione: ancora il cielo di Dio si impasta con la terra che siamo noi; è una nuova creazione perché questa non è avvenuta una volta per tutte ma continua: ogni volta che lasciamo cadere nel cuore una goccia di Parola, rinasciamo; ogni volta che viviamo la Celebrazione, risorgiamo. Poco per volta, tutta la creazione di noi stessi avanza; siamo come creta nelle mani del vasaio. Dobbiamo appoggiarci totalmente a Gesù; mettiamo la nostra vita nelle mani di Dio. Mendicanti d'amore, come siamo, chiediamo al Signore di plasmare la nostra vita, di modellare ancora questa nostra terra, spesso inaridita dal peccato.

 

 

TERZO MOMENTO: Gesù dice a quell'uomo: Va' a lavarti alla piscina di Siloe, che significa “inviato”. La cosa straordinaria è che la guarigione non avviene all’istante perché l’opera di Gesù non è magica o automatica ma richiede la partecipazione attiva dell’uomo. Se il cieco non si fosse fidato e non fosse andato a lavarsi, sarebbe rimasto un cieco con gli occhi pieni di fango! Invece l’uomo va. Magari non ci crede tanto ma comincia a fidarsi. Il vangelo non è una teoria: è vita, è fiducia; è dare credito alla stessa vita, anche nei momenti in cui c’è buio e disperazione.

 

QUARTO MOMENTO: è pieno di polemiche e di movimento. La guarigione del cieco diviene infatti il pretesto per un feroce dibattito: chi lo ha guarito? Perché? E perché di sabato? All'istituzione religiosa, ai notabili di allora non interessa il bene dell'uomo ma l'osservanza della legge; per difendere la dottrina negano l'evidenza e per difendere la legge negano la vita. Quanta infinita tristezza in tutto questo!  Per Il fariseo la Gloria di Dio è il precetto che viene osservato con scrupolo; per Gesù la gloria di Dio è quel uomo che torna felice a vedere. Inoltre c’è il grande miracolo della fede che diviene una progressiva illuminazione: quel cieco guarito prima descrive Gesù come un uomo, poi come un Profeta, poi lo proclama Figlio di Dio; anche noi, passo dopo passo, ci mettiamo anni prima di arrivare a proclamare che Gesù è il Signore!

 

 

Si dice che la fede è cieca, è irragionevole ma non è così. La fede è vedere, aprire gli occhi su questo mondo. È parlare, non tacere ciò che si vede! La fede genera uomini che pensano, che non si chiudono, che aprono gli occhi e testimoniano con coraggio! Non imbalsamiamo Dio nelle nostre chiese, alimentiamo la libertà della ricerca, il coraggio delle domande buone, l'audacia dei punti interrogativi! Diceva lo scrittore francese Julien Green: «Finché si è inquieti, si può stare tranquilli» perché "dubitare e credere sono la stessa cosa. Solo l'indifferenza è atea".

 

Allora dobbiamo essere cercatori di Dio, andare oltre, vedere con gli occhi di Dio che è Amore infinito. Anche noi possiamo fare di ogni nostro limite e di quelli degli altri un luogo di salvezza, di comunione, di luce! Se assumiamo i nostri limiti come luogo/possibilità di comunione con Dio e consideriamo quelli degli altri un luogo di perdono e di festa, allora faremo esperienza di Dio. in linea con tutto ciò è il SEGNO di oggi:  occhiali per vedere oltre!                                        

 

 

 

 

 

 


 

 

Domenica 12 Marzo

 

Omelia della 3^ Domenica di Quaresima a. A - scritta da padre Vincenzo

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Gv 4, 5-42)
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più
grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 
Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». 
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». 
 
 
C: Parola del Signore.

A: Lode a Te o Cristo.

 

 

La 3^ Domenica di Quaresima ci conduce alla 3^ Teofania del Signore che incontra la Samaritana al pozzo di Giacobbe nella città di Sicar. Le letture (Es 17,3-7; Sal 94/95; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42) ci guidano, come sempre fa la Parola, a comprendere chi è Gesù e chi siamo noi, resi conformi a Lui in virtù del battesimo. Soprattutto la pagina del Vangelo ha una dinamica precisa che si sviluppa in quattro momenti:

  1. C’è l’incontro: Gesù, arrivato a Sicar nell'ora più calda del giorno e «affaticato per il viaggio», si siede presso il pozzo di Giacobbe dove giunge anche «una samaritana ad attingere acqua».  La donna, costretta a uscire per strada a quell'ora in solitudine per il suo comportamento immorale pubblicamente riconosciuto, si viene a trovare coinvolta in un dialogo, quanto meno strano ai suoi occhi, con un Signore che non ha orrore di lei, non la disprezza, anzi le parla per primo facendosi mendicante di un po' d’acqua. Ella è veramente stupita di tale richiesta e gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?», dove viene sottolineata la contrapposizione tra Giudei e Samaritani che non avevano buoni rapporti perché quelli consideravano infedeli questi che adoravano altri dei.
  2. Segue il Dono da parte del Signore, con cui si rivela il significato di quell’incontro per nulla fortuito: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Il Messia le vuol far capire che la sete delle cose di quaggiù non darà mai la felicità perché non sarà mai sufficiente a riempire l'ampiezza del cuore umano: «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete». Gesù promette invece una gioia inedita: «Chi berrà dell'acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna». Il dono offerto alla samaritana e a noi, battezzati in Cristo, è straordinario: dissetarsi con l'acqua donata da Gesù significa scoprire in sé una fonte inesauribile, perché quell'acqua è lo Spirito Santo effuso da Gesù nei nostri cuori! Non solo “quell’acqua” leva la sete ma è anche “misericordiosa e sanante”. Gesù conosceva benissimo la situazione anomala della donna, avrebbe potuto umiliarla, buttarle in faccia i suoi peccati, invece non lo fa: la porta a capire la sua situazione, le fa toccare con mano il fallimento della sua vita, le mostra che vuole liberarla e regalarle la felicità vera. Infatti, a quel punto la domanda che Gesù aveva fatto alla donna diviene la richiesta di lei a Gesù: «Signore, dammi quest'acqua».
  3. L’Accoglienza è il terzo passaggio dell’episodio: la donna, sentendosi accolta e toccata nel cuore, confessa la propria sete profonda non solo di acqua ma di novità di vita e fa una professione di fede: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo», a cui segue la rivelazione di Gesù: «Sono io, che parlo con te».

È chiaro che tale “rinascita a vita nuova” ci riguarda tutti quanti, chiamati a comunicare l’Eterno che si incarna in noi, chiamati a collaborare con il progetto divino e ad esserne testimoni.

  1. L’Annuncio, infine,è l’epilogo di questo evento: la donna ha riconosciuto la sua miseria e la sua fragilità, ha compreso l’importanza di Chi le ha parlato, per cui non può fare a meno di comunicare ai concittadini la sua scoperta: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». La samaritana ha trovato nel Messia la sua pace, la risposta ai suoi problemi esistenziali più profondi; ha scoperto che Egli è un profeta, e gli chiede dov'è possibile adorare il Dio vivente; ma qui c’è il grande annuncio: «Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre [...] Ma viene l'ora in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità», cioè nello Spirito Santo e in Gesù Cristo che è la verità: il luogo del culto non è più un tempio di pietre ma la nostra persona, corpo di Cristo (cf 2Cor 13, 5) e tempio dello Spirito (cf 1Cor 6, 19)!

 

 Anche a noi abbiamo ricevuto “l’acqua che dona la vita eterna” il giorno del Battesimo, quando Dio ci ha trasformati e riempiti della sua grazia; e continuiamo a ricevere “l'acqua che disseta”, ovvero il suo Spirito che ci rende liberi, ci dà  dignità e libertà da accogliere e conservare con cura. Dobbiamo rimanere fermi nelle promesse di Gesù, non cercare altri pozzi dalle acque sporche e inquinate ma usare i calzari della sequela e le mani aperte di bontà, per accogliere e donare l’acqua pura che "lava via" ogni indifferenza, ingiustizia, prepotenza, bruttezza…  l’acqua pura di sorgente che permette di saziare la sete di quanti incontriamo ogni giorno. Questo tempo di Quaresima è l'occasione buona per avvicinarci a Lui, incontrarlo nella preghiera, parlare con Lui, ascoltare Lui. È l'occasione buona per vedere il suo volto nel volto dei nostri amici ma anche dei nostri "nemici". Ricordiamoci del Segno scelto per oggi: una caraffa di acqua benedetta che ci ha trasmesso la grazia di Dio per esserne rinnovati e poter trasmettere gioia e vitalità.                                 

                                                                                                                                                                      

 

 

 

Domenica 5 Marzo

 

Omelia della 2^ Domenica di Quaresima a. A - scritta da padre Vincenzo

 

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 17, 1-9)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti»
 
C: Parola del Signore.

A: Lode a Te o Cristo.

 

 

Siamo alla 2^ Domenica di Quaresima che ci conduce sul Monte della Trasfigurazione con la 2^ delle 5 Teofanie della Quaresima (Le Tentazioni, la Trasfigurazione, La Samaritana, il Cieco nato e la Risurrezione di Lazzaro). Le letture (Gen 12,1-4a; Sal 32/33; 2 Tm 1,8b-10; Mt 17,1-9) sono collegate da un unico tema, quello della “chiamata di Dio”, la vocazione che, per logica connessione, include il tema della fede, che è la risposta dell’uomo alla chiamata divina.

  1. Ci è presentata, anzitutto, dal libro della Genesi, la chiamata di Abramo in una dinamica ben precisa:
  • Dio ordina ad Abramo di partire, di lasciare la sua patria, la sua casa, la sua parentela. In cambio gli promette una nuova terra e una lunga discendenza: “Farò di te una nazione grande…sarà grande il tuo nome e sarai una benedizione” (1 lettura)
  • Ma, oltre questa proposta divina, quali sono le garanzie? Umanamente parlando proprio nessuna!

Al momento della partenza Abramo non conosce nemmeno il nome della terra promessa, né dove si trovi.

  • Per quanto riguarda la sua discendenza, la promessa divina – ancora umanamente parlando – si rivela assai inverosimile, per non dire impossibile, data l’età avanzata sia di Abramo che di sua moglie Sara.
  • Di certo Abramo comprende che questa chiamata implica un esodo, un’uscita che è uno spogliamento radicale, l’abbandono di tutte le sicurezze umane: patria, casa, affetti, mezzi materiali.
  • L’unica sicurezza e garanzia offerta ad Abramo è la Parola di Dio, la fedeltà alle Sue promesse.
  • Da parte sua, Dio Padre non deluderà le attese di Abramo e non verrà meno a quanto ha promesso: Abramo raggiungerà la terra promessa, avrà la sua discendenza e diventerà Padre di una moltitudine di credenti.
  1. La chiamata di Abramo è l’emblema di tutte le chiamate divine, in particolare della chiamata o vacazione cristiana.
  • Il cristiano è un chiamato, come espressamente dice San Paolo: “Dio ci ha salvati e ci ha “chiamati con una vocazione santa” (2 lettura). Chiamati a collaborare ogni giorno al Progetto divino; chiamati ad una preghiera applicata, dove c’è la contemplazione e l’adorazione ma c’è anche la fattiva “comunicazione del volto di Dio” attraverso le opere di misericordia espresse in tutte le situazioni di bisogno, di povertà, di sofferenza…
  • La nostra è quindi una vocazione santa perché siamo chiamati alla cooperazione per la salvezza nostra e di tutti; perché siamo chiamati alla vita eterna e alla beatitudine del paradiso, che è la nostra definitiva terra promessa; perché è dono di Dio, fonte di ogni santità.
  • Anche la nostra chiamata, però, come è avvenuto per Abramo, implica ed esige un esodo, un’uscita, un abbandono e un distacco radicale: l’uscita da noi stessi, dalle nostre “vedute” umane e terrene; l’abbandono delle nostre schiavitù di egoismo e di peccato; il distacco da quelle che noi consideriamo sicurezze (beni materiali, potere, prestigio) ma che non lo sono affatto nei piani di Dio.
  • Questa chiamata, infine, come quella di Abramo, esige la risposta di una fede forte e matura. Credere significa fidarsi di Dio sempre; significa lasciarsi guidare da Lui e seguirLo nelle vie da Lui indicate; accettare di “scendere a valle” dopo il momento di estasi ed affrontare con serenità e coraggio tutte le difficoltà della vita.
  1.  Dopo la Trasfigurazione, infatti, Gesù invita i tre apostoli a scendere dal monte, a continuare con Lui il cammino verso Gerusalemme, ad andare con Lui verso il Calvario: “Alzatevi e non temete!”. Le parole di Gesù sono rassicuranti ed essi, dopo la straordinaria esperienza con il Figlio di Dio, possono capire che il Calvario è solo una tappa, obbligata sì, ma senza essere la fine; che non devono temere di seguirlo, pur portando il peso di sofferenza e soprattutto che possono fidarsi di Lui. È l’appello ad entrare nel Mistero di Cristo, rivolto anche a tutti noi.
  2. Gesù, partecipando la Trasfigurazione a Pietro, Giacomo e Giovanni, ci fa capire che cosa vuol dire essere “discepoli di Cristo”, in che cosa consiste e cosa implica “la vocazione cristiana”:

      È chiamata a seguire Lui, Cristo; non solo ad ascoltare i suoi insegnamenti, ma a battere la sua stessa strada

      È chiamata a condividere il Suo trionfo sul peccato e sulla morte, il Suo destino di vita e di immortalità, che passa attraverso la via obbligata della croce e della sofferenza.

      Croce e sofferenza che sono il rinnegamento di sé, l’incomprensione e l’ostilità del mondo, la sopportazione forte e serena delle tribolazioni della vita.

Facciamo allora memoria del Segno portato oggi all’altare: una Lanterna per dire il nostro Sì a Dio, il nostro desiderio di riflettere la luce di Cristo, che ci è necessaria per fugare le tenebre del peccato e ogni nostra oscurità.